Lettera pastorale: “Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua” (Atti 2,6)

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Lettera Pastorale
“Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua” (Atti 2,6)
Tutti più missionari

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1. Carissimi,
in questi anni abbiamo a lungo parlato del futuro della nostra Chiesa di Bologna e dei cambiamenti che questo ci chiede. Ringrazio di cuore il Vicario per la Sinodalità e i quattro Segretari (pianura, montagna, cintura periferica, centro) per il grande lavoro svolto e per i suggerimenti proposti. È una responsabilità e una passione che abbiamo tutti per portare avanti una tradizione così ricca di testimoni antichi e recenti di amore per il Vangelo e per la Chiesa, da quelli noti a tutti per il ruolo avuto e per la rappresentatività ai tantissimi “santi della vita quotidiana” indicati da Papa Francesco nella sua Gaudete et Exultate. I discepoli di Gesù sono chiamati ad essere santi per aiutare la Chiesa, perché sia se stessa uscendo, vivendo la missione di comunicare a tutti il Vangelo. Ognuno ha la sua missione e cercare di essere santi ci aiuta a trovare il nostro contributo unico, irripetibile, importante.

2. L’Anno della Misericordia ci ha fatto gustare la gioia di essere abbracciati dal Signore, di non avere paura di abbandonarci al suo amore di Padre e, amati da Lui, di potere guardare con i suoi sentimenti il mondo intorno. Il Congresso Eucaristico ci ha fatto contemplare il mistero sempre nuovo della sua presenza nell’Eucarestia, pane di vita eterna e nutrimento del cammino, per riconoscerlo nei suoi fratelli più piccoli e nella città degli uomini. “Voi stessi date loro da mangiare”: un invito che ci ha reso consapevoli di chi siamo e di come la nostra povertà offerta può rispondere alle domande di amore della folla. Questo anno come i discepoli di Emmaus ci siamo di nuovo confrontati con la sua Parola, quella che fa ardere il cuore di gioia e di speranza e ci rende comunicatori del Vangelo ai tanti pellegrini della vita che incontriamo nel nostro cammino.

Tempo favorevole

3. Tutti i tempi sono il kairos di Dio, quelli opportuni in cui vivere oggi il suo amore, testimoniarlo, seguendo Gesù nella sua appassionata scelta di salvare gli uomini. Altrimenti, sempre “accesi da zelo per la religione”, finiamo per diventare quei profeti di sventura di cui parlava san Giovanni XXIII, che “valutano i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio”, perché “non sono capaci di vedere altro che rovine e guai”, dicendo che “i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori”, “annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”, e soprattutto non sanno “vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”.

4. Siamo chiamati non a lamentarci, ma a costruire; non a restare a guardare ma ad aiutare; non a mettere prima i nostri interessi, ma a capire quello di cui c’è bisogno, per trovare anche oggi nelle “avverse vicende umane” il bene della Chiesa che amiamo, Madre affidataci da Gesù ed alla quale ognuno di noi è affidato.

Le zone pastorali

5. Scrivevo nella lettera pastorale: “È necessaria la rivisitazione missionaria della Chiesa di Bologna. È un processo, che non richiede sintesi affrettate o geometrie astratte, come non può sopportare rimandi inutili e pigri, l’illusione di potere aspettare oppure di evitare la parzialità di scelte”. Dopo una riflessione che ha coinvolto principalmente i preti, sono state stabilite delle “zone pastorali” e, dopo consultazioni con i Vicari episcopali e i Segretari per la Sinodalità, ho nominato i Moderatori di ogni zona, che avranno il compito di promuovere la comunione tra tutte le componenti: parrocchie, comunità, religiosi, associazioni, movimenti e altre realtà pastorali. Sono nominati per un triennio e, collaborando con il Vicario pastorale, convocano l’assemblea zonale; insieme ad una piccola équipe coordinano le iniziative pastorali della zona e favoriscono il clima di collaborazione tra i vari soggetti presenti.

6. La zona pastorale è un territorio (storicamente si chiamavano collegiate o pievi) nel quale ogni parrocchia e realtà pastorale sono soggetti in una rete di comunione, di fraternità e dove tutti possono portare il loro originale e specifico contributo, fosse solo quello di esistere e di pregare assieme.
7. Scrivevo ancora nella lettera pastorale: “La dinamica è sempre quella di una madre e non di una istituzione, di una comunione e non di un’organizzazione, di una fraternità e non di stazioni funzionali. La dinamica è quella della comunione, che sostiene e valorizza tutte le realtà ecclesiali perché crescano nella generosità e nella missionarietà, perché spendano il proprio carisma nell’accoglienza e nell’annuncio del Vangelo o anche semplicemente garantendo la preghiera, la celebrazione della Parola, l’attenzione al prossimo con le iniziative di carità”.

Zone pastorali e parrocchie

8. Le zone pastorali sono varie a seconda delle realtà, (alcune composte da diverse parrocchie “grandi”, altre da una parrocchia più grande e da altre piccole, altre ancora da tutte parrocchie “piccole”). Esse sono un ambito che abbiamo individuato – come del resto è avvenuto nella maggiore parte delle Diocesi in Italia e nel Nord Europa – non per ritirarci e dispiegare a risparmio le forze rimaste, ma perché ogni realtà sia valorizzata e viva guardando fuori, avanti e soprattutto si pensi in comunione con le altre. Non si tratta di un’addizione di parrocchie. Sarebbe davvero triste. La Comunione permette un’organizzazione variabile, capace di tenere assieme realtà molto diverse ed è un collante che realizza il poliedro che è sempre la Chiesa. Ogni realtà è se stessa inserita in questo insieme e capace di collaborare per un reciproco arricchimento.

9. La parrocchia, scrive l’Evangelii Gaudium, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. “Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario”.
10. Le parrocchie restano tali. Anche le più piccole tra esse hanno una funzione importantissima, che si rivelerà ancora di più se vissuta in chiave di accoglienza e di missione. Le Parrocchie sono avanguardie che raccolgono dalla dispersione, che generano comunione e lanciano la comunità in una dimensione di servizio alla città degli uomini. Esse non sono retroguardie o eredità del passato. La parrocchia è la nostra casa dove viviamo la dimensione familiare dell’Eucarestia, dell’incontro, del nostro cammino.  È indubbio che le comunità piccole hanno una partecipazione proporzionalmente maggiore, realtà dove si intessono legami intensi e affettivi che non dobbiamo disperdere e anche solo contristare. Sono un patrimonio che occorre difendere ed aprire perché possano accogliere tanti.

11. Alcune parrocchie saranno soppresse, quelle dove da anni non si celebra più stabilmente la S. Messa o il culto è ridotto alla festa del Patrono. È una scelta per una necessaria semplificazione amministrativa che i presbiteri auspicano e che comunque non significa che non saranno più usate per le attività liturgiche desiderate e necessarie.

12. Le zone diventano la comunione più grande nella quale ogni parrocchia si pensa e si esercita nell’aiuto e nella pastorale. Le zone pastorali non significano affatto annessione di realtà piccole in quelle più grandi. Sarebbe aziendale e miope, perché ognuna è un soggetto e il numero non è mai stato il criterio del Signore che anzi ha sempre parlato di un piccolo gregge proprio per sottolineare come quella che chiama intorno a sé è una famiglia e non una realtà anonima.

13. Le zone, allora, non sono tanto una riorganizzazione amministrativa, pur necessaria, ma lo strumento per crescere, aiutarsi, attuare più coerentemente la missione affidataci. La stessa scelta del territorio delle zone non è stata pensata a partire dalle parrocchie ma dal territorio, da quella “citta degli uomini” dove le persone vivono, si muovono e dove noi incontriamo quella folla a cui siamo mandati per donare il Pane della presenza di Gesù. Solo facendolo possiamo capire la forza che abbiamo tra le mani, partendo sempre da quei cinque pani e due pesci che sono la nostra debolezza, personale e di comunità.

14. Le zone non sono un’addizione di realtà, spesso deludente, ma una moltiplicazione, pensarsi assieme “per” qualcuno, rispettando la storia di ogni realtà, cercando la complementarietà, trovando il genio pastorale di ogni comunità, favorendo sintesi nuove e eventuali collaborazioni sempre tese ad accogliere e a avvicinare tanti e a dare la responsabilità ai laici e a quanti vogliono mettersi al servizio della grande messe di questo mondo.

Pastorale di comunione

15. Dobbiamo passare da una parrocchia autosufficiente ad una comunione di parrocchie. Molti di noi sono cresciuti con una parrocchia che aveva tutte le attività al suo interno e dove il parroco e i suoi collaboratori pensavano a tutto. Ogni parrocchia chiedeva aiuto solo se aveva qualche necessità. Questo aveva ed ha indubbiamente un grande vantaggio: sentire come casa propria ed in maniera più personale le attività che si facevano. È quanto dicevo all’inizio: il legame affettivo è decisivo perché la Chiesa è una realtà umana concreta e il Vangelo si comprende meglio quando diventa incontro, relazione, quella “esperienza di fraternità”, “carovana solidale”, “santo pellegrinaggio” (EG 87). Diventiamo santi in comunità perché “la santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due”. Dobbiamo passare dall’autosufficienza delle Parrocchie alla comunione tra loro e questo valorizza ogni realtà, spingendo a fare crescere l’amicizia all’interno di ogni stessa comunità.

16. Questo richiede di non perdere il coinvolgimento personale e l’attaccamento alla propria realtà. Il “ministero della comunione” è affidato a tutti! Dipende da ognuno di noi se ci abituiamo a fare le cose insieme, anzi a farle di più, ad arricchirci e arricchire. Certo, sappiamo bene che non è facile lavorare assieme, che a volte ci sentiamo estranei in realtà che non sono immediatamente le nostre, magari anche se adiacenti! Possiamo sentirci a casa ovunque vi è un fratello. Quante occasioni perse proprio perché collaboriamo poco e quante nuove possibilità se ci aiutiamo!

17. La zona comprende tutti i soggetti attivi nell’annuncio e testimonianza del Regno: parrocchie, comunità religiose, associazioni di volontariato, quanti vivono varie esperienze pastorali (penso ai piccoli gruppi del Vangelo oppure anche solo incontri in luoghi di lavoro e di cura) e che possono essere esplicitamente coinvolti nel lavoro sinodale.

Le diaconie

18. Accanto alle zone pastorali prevediamo delle diaconie per gli ambiti non territoriali, quali ad esempio i giovani, la sanità, il turismo, la cultura, il lavoro, l’università. Esse non sono quindi su base territoriale, bensì di ambiente, dove potere avviare una presenza nei luoghi del lavoro o creare opportunità di incontro e di pastorale. Anche queste arricchiscono la pastorale e ci aiutano a pensare nuove presenze là dove vive la città degli uomini e noi possiamo incontrare e stabilire una relazione con le persone.

Il prossimo anno pastorale

19. L’anno prossimo nelle tre tappe previste per continuare il cammino sinodale guidati dall’Evangelii Gaudium (momenti che possono essere vissuti divisi nelle varie realtà o insieme nella zona stessa a secondo delle opportunità pastorali ritenute migliori e più efficaci per un confronto che coinvolga tutti), ci vogliamo interrogare su quali sono le domande spirituali che incontriamo o che giungono alle nostre realtà, primo passo per un cammino di rivisitazione della catechesi per l’iniziazione cristiana e per gli adulti, perché siamo capaci di fare conoscere Gesù a quanti in molti modi, a volte inconsapevoli, indiretti, contraddittori, cercano il suo amore, per generare alla fede e perché tanti lo sentano vicino.

20. L’icona biblica da cui partiremo sarà Pentecoste. Sì, la missione della Chiesa è opera dello Spirito. Soltanto se ci lasciamo scaldare il cuore dalla fiamma dello Spirito troveremo la forza e la gioia della missione: è lui che ci rende capaci di parlare la lingua degli ascoltatori, ossia di metterci in sintonia con la cultura e i bisogni della gente di oggi a cui è offerta la salvezza in Gesù. Pietro parla galileo, il suo dialetto: non ha fatto studi di dizione, non ha imparato a memoria delle istruzioni per l’uso o tutte le lingue, ma proprio perché pieno di amore e passione diventa capace di parlare a tutti con la sua espressione.
21. Le nostre parrocchie non vivono per se stesse, per conservare una realtà bellissima ma senza vita. Sono nate come casa del Signore, suo Tempio, manifestazione della sua presenza. Ho vissuto tanto la loro importanza in occasione della riapertura di alcune chiese dopo il terremoto. Mi ha commosso la gioia di quanti potevano finalmente tornare a pregare e riunirsi nei luoghi della loro fede. Vorrei sperimentassimo tutti la stessa riscoperta anche dell’edificio di pietre vive che siamo ognuno di noi!

22. “Il fine” della missione a cui lo Spirito abilita i discepoli è lo stesso del Signore Gesù, ossia “il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra” (LG 9). Vogliamo ascoltare e provare a rispondere assieme alla domanda che ci viene rivolta in tanti modi dagli uomini che incontriamo: “Che cosa dobbiamo fare?”.

23. Nelle zone pastorali abbiamo indicato quattro ambiti in cui iniziare un confronto dove gli operatori e le persone interessate potranno iniziare a identificare le possibilità concrete di comunione, a quali necessità rispondere per crescere assieme:

  • Catechesi;
  • Giovani;
  • Caritas;
  • Liturgia.

24. In questo progetto pastorale-missionario ogni battezzato riscopre la sua vocazione ad essere discepolo e missionario, non per concessione o supplenza, ma in risposta ai carismi propri. È pertanto necessario che tutti i battezzati siano coinvolti, specialmente gli “operatori pastorali” e quanti pensano di potere aiutare il nostro cammino.

Le assemblee zonali

25. Il cammino sinodale della nostra Chiesa avrà un momento importante, che avvierà le tre tappe previste anche questo anno per scandire un cammino che sia particolare e generale, nella assemblea zonale che si terrà all’inizio dell’anno pastorale, in una data che il Moderatore, con gli altri soggetti e operatori pastorali, riterranno migliore.

26. L’assemblea di zona è la prima occasione dove ci incontreremo e inizieremo a confrontarci assieme. Quanti sono più avanti in questo cammino, vivendo esperienze che durano già da anni, cercheranno ancora di più di crescere nella comunione per raggiungere tante periferie umane; altri si interrogheranno su quali sono le sfide pastorali nel loro territorio per affrontare assieme le domande e condividere il cammino. Vogliamo così continuare a vivere quella “conversione missionaria e pastorale” avviata già da alcuni anni nella Diocesi di Bologna con il progetto della pastorale integrata, in continuità con lo sguardo compassionevole verso la folla ripropostoci dal Congresso Eucaristico Diocesano e con l’entusiasmo suscitato in noi dalla comprensione delle Scritture, ravvivato nell’anno della Parola.

Un cammino sinodale

27. Siamo chiamati tutti ad un grande sforzo di comunione, cioè di ascolto, di amicizia, di generosità, di riscoperta. E’ un dono grande. Scrivevo nella lettera: “Essa è già tra di noi perché ce l’affida Colui che ci raduna, che ci chiama ad essere suoi, che ci ha reso cristiani. La comunione è ciò che permette alla Chiesa di dare valore ad ognuno, di valorizzare i carismi, di coniugare l’io e il noi in quella relazione intima, che è l’amore fraterno. Cosa sarebbe la Chiesa senza comunione?”.

28. È il sogno di Papa Francesco che ispira le assemblee di zona: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie”. (E.G. 27)

29. Il Signore e la Vergine Maria, Madre della Chiesa, ci accompagnino e ispirino a tutti la passione di Pentecoste, perché “siano diffusi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continuino oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che ha operato agli inizi della predicazione del Vangelo”.

 

Bologna, 1 luglio 2018, memoria del B. Ferdinando Maria Baccilieri

+ Matteo Zuppi, Arcivescovo

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